I GIACOBINI A NAPOLI

Storia della Repubblica Napoletana istituita dai giacobini partenopei contro l’autorità di Ferdinando IV di Borbone in seguito ai fatti della Rivoluzione Francese.

Nel 1759, ancora bambino, salì al trono del Regno di Napoli Ferdinando IV di Borbone, che ottenne pieno controllo sui suoi possedimenti solo al compimento del sedicesimo anno di età, nel 1767. L’anno successivo, sposò per procura l’arciduchessa Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, sorella maggiore di Maria Antonietta che nel 1770 sposò il Delfino di Francia, Luigi Augusto di Borbone.

Ferdinando IV di Borbone.

La parentela tra i Borbone di Napoli e i Borbone di Francia (i Borbone napoletani discendevano dai Borbone di Spagna, a loro volta imparentati con il Re Sole), rafforzata dal fatto che le due regine erano sorelle, incrinò moltissimo i rapporti tra Napoli e la Francia quando, nel 1793, Maria Antonietta fu ghigliottinata dai rivoluzionari francesi. Da allora, Maria Carolina e Ferdinando si fecero portavoce delle fazioni anti-rivoluzionarie che si formarono in Europa in risposta agli eventi epocali avvenuti a partire dal 1789, reprimendo fortemente qualsiasi comportamento filo-giacobino (cioè filo-rivoluzionario) all’interno del loro regno (vai alla pagina sui GIACOBINI per saperne di più).

E’ dubbio se vi fosse un reale malcontento all’interno del Regno di Napoli, visto che Ferdinando, prima di allora, veniva considerato un sovrano illuminato. Tuttavia, la Rivoluzione Francese fece nascere un sentimento anti-monarchico all’interno della popolazione, sia tra la borghesia che tra i membri del popolo. Ispirato dagli eventi francesi, il farmacista Carlo Lauberg (nato a Teano ma poi naturalizzato francese) fondò la Società Patriottica Napoletana divisa in fazione LOMO e fazione ROMO: la prima raccoglieva i filo-monarchici che chiedevano la monarchia costituzionale (Libertà- O-MOrte), mentre la seconda i repubblicani democratici (Repubblica-O-MOrte). Si trattava di una società segreta che si opponeva con tutte le sue forze all’assolutismo, sulla scia delle teorie illuministe portate avanti anche dagli intellettuali che vivevano alla corte partenopea.

Carlo Lauberg.

Con la nascita in Italia delle repubbliche filo-francesi fondate da Napoleone Bonaparte (la più importante delle quali fu la Repubblica Cisalpina del 1797, assieme alla Repubblica Ligure e alla Repubblica Romana), il sentimento rivoluzionario (e dunque giacobino) si accese sempre di più nel napoletano. Il 5 giugno 1796, vinta ogni resistenza sabauda all’avanzata francese, i napoletani firmarono con Napoleone l’armistizio a Brescia, a cui seguì il trattato di pace di Parigi nell’ottobre dello stesso anno.

Nel 1797, Ferdinando IV si accordò allora con il generale Karl Mack von Leiberich per allearsi con l’Austria – terra natìa della moglie – e liberare Roma dal dominio francese. Sconfitto anche questo tentativo il 5 dicembre 1798 (sconfitta della Battaglia di Civita Castellana), il sovrano fu costretto alla fuga in Sicilia con tutta la famiglia.

Nel Regno di Napoli seguirono giorni di anarchia, finché fu il conte e generale Francesco Pignatelli a prendere il posto di Ferdinando, proprio per volere di quest’ultimo che lo nominò suo Vicario generale.

Francesco Pignatelli.

Non potendo fermare l’esercito francese, l’ 11 gennaio 1799 Pignatelli si arrese e firmò a Sparanise (provincia di Caserta) l’armistizio con il generale Championnet (soprannome di Jean Antoine Étienne Vachier). Questo suo gesto causò una grande delusione a Napoli, a cui seguì la proclamazione della Repubblica Napoletana (chiamata anche Repubblica Partenopea) il 23 gennaio dello stesso anno. A capo del governo provvisorio, furono messi 20 funzionari tra cui Carlo Lauberg.

Una delle figure più di rilievo di questo periodo fu l’intellettuale Vincenzo Cuoco, che ebbe un ruolo attivo nella direzione della repubblica. Un’altra figura di rilievo fu quella di Eleonora Pimentel Fonseca, giornalista e patriota napoletana.

Vincenzo Cuoco.

Tuttavia, la repubblica ebbe vita breve: il 13 giugno 1799 le truppe organizzate dal cardinale Fabrizio Ruffo (armata della Santa Fede o sanfedisti), assieme agli inglesi, entrarono a Napoli, sconfissero l’esercito repubblicano e permisero a Ferdinando IV di tornare sul trono.

Molti di coloro che avevano partecipato alla fondazione della repubblica furono giustiziati, come Eleonora Pimentel Fonseca. Altri vennero condannati all’ergastolo o all’esilio, come Vincenzo Cuoco. Altri ancora vennero assolti.

Eleonora Pimentel Fonseca.

Nell’agosto dello stesso anno, il papa spodestato, Pio VI, morì in Francia, ma le truppe di Ferdinando si assicurarono che il suo successore potesse tornare a regnare sullo Stato Pontificio con pieni poteri destituendo la Repubblica Romana. Questi fu Pio VII, che venne eletto l’anno successivo a Venezia a causa dei disordini che regnavano a Roma. Il pontefice fece ritorno nell’Urbe nel luglio 1800.

Tra coloro che vennero giustiziati per aver aderito con fervore alla Repubblica Napoletana vi fu Luisa Sanfelice, divenuta famosa grazie al romanzo del 1864 “La Sanfelice” di Alexandre Dumas padre. Oggi questa nobildonna italiana, decapitata l’11 settembre 1800, è considerata una martire della rivoluzione partenopea e un simbolo di libertà, anche perché la sentenza contro di lei venne da molti considerata una vendetta a freddo della monarchia, priva di una vera giustificazione.

“L’arresto di Luisa Sanfelice”, dipinto di Modesto Faustini.

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