LES ANNÉES FOLLES

Descrizione dettagliata del periodo storico che in Francia prese nome “Années Folles” e in inglese “Roaring Twenties”: i Ruggenti Anni ’20.

(Scritto da Elisa Quaglia)

Col termine “années folles” (anni folli o anni pazzi) si intende, in francese, l’atmosfera gioiosa e spumeggiante che caratterizzò gli anni ’20 del secolo scorso, ossia l’ondata di sviluppo economico, intellettuale e sociale che si ebbe negli anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale (1914- 1918) al crollo della borsa di Wall Street del ’29.

Manifesto degli anni ’20. Immagine tratta dal sito Internet www.agoravox.fr.

Gli orrori della Grande Guerra e le terribili condizioni di vita dei soldati nelle trincee avevano incitato la popolazione, sia civile che militare, a cercare rifugio, già durante il sanguinoso conflitto, nei divertimenti e nella frenesia: per poter affrontare le terribili privazioni che si trovò a sostenere un po’ tutta l’Europa, soprattutto a partire dal 1917, si rendeva necessario portare avanti un clima di festa per le piazze e per le strade, allo scopo di trovare conforto e di dare un senso a uno dei più bui periodi storici dell’umanità, periodo che per la sua drammaticità sembrava essere interminabile.

Soldati dell’ 87° reggimento vicino a Verdun, in Francia (1916). Immagine di pubblico dominio.

In seguito al conflitto armato, che portò al crollo di monarchie secolari e a un “rimaneggiamento” della cartina geografica europea, molte delle certezze di cui aveva goduto la popolazione mondiale fino a quel momento crollarono. All’interno di un simile quadro storico, l’atmosfera gioiosa resasi necessaria tra la popolazione durante gli anni ’14-’18 non andò dissipandosi nel decennio successivo, anzi continuò a crescere, dando vita a un periodo di grande benessere e festosità sia in Europa che negli Stati Uniti, Paese in cui l’epoca prese nome di “ruggenti anni ’20” (Roaring Twenties).

La gioventù, delusa dalle conseguenze della guerra, vista inizialmente come la possibilità di uscire dalla vuotezza della propria esistenza priva di obiettivi, si ritrovò completamente priva di ideali, preferendo dedicarsi a ogni tipo di dissolutezza e di sfrenatezza alla ricerca di un qualche stimolo, come già era accaduto alla gioventù di fine Ottocento. Questi giovani che si trovavano a vivere e a crescere in un mondo privo di valori e dominato solo da delusione, rassegnazione e solitudine – nonché vizio e corruzione – assunsero il nome di “Génération perdue” (Generazione perduta), dall’espressione resa celebre dallo scrittore americano Ernest Hemingway nel suo romanzo “Fiesta – The Sun Also Rises” del 1926, la quale a sua volta si rifaceva all’espressione “Lost Generation” usata dalla poetessa americana Gertrude Stein.

Festa a tema anni ’20. Immagine tratta dal sito Pinterest.it.

In questo clima di delusione, incertezza e di desiderio di ritrovare pace e stabilità per dimenticare le sofferenze passate (e presenti), si inserì tuttavia un grande sviluppo economico: molte industrie, sorte come ditte di modesta importanza nei primi anni del Novecento, iniziarono a farsi un nome illustre durante la Prima Guerra Mondiale, grazie alla necessità di approvvigionare l’esercito con macchine utilizzate a scopo bellico. Tali industrie, attraverso la loro crescente attività, apportarono un grande benessere nel corso degli anni ’20 del Novecento, attraverso la realizzazione di nuove meraviglie tecnologie. Fu proprio in quegli anni che venne perfezionata la radio (nata durante la Belle Époque) e venne introdotto il cinema sonoro (1927), quest’ultimo responsabile dell’ampio sviluppo del cuore dell’industria cinematografica americana: Hollywood. Inoltre, proprio a causa del grande benessere economico, fu sempre in questo periodo che ebbe origine il consumismo.

Gloria Swanson nel 1921. Immagine di pubblico dominio.

In Francia, Parigi divenne la capitale indiscussa del divertimento: ogni sera venivano allestiti spettacoli di vario genere, inizialmente per gli ex-combattenti (molti dei quali feriti o mutilati di guerra), e in seguito per tutti gli amanti dell’intrattenimento notturno. Fu infatti negli anni ’20 che il cabaret e i café -chantant, sorti durante la Belle Époque, godettero del loro massimo splendore (vai anche alla pagina su LE FOLIES BERGÈRE per saperne di più).

Il cabaret era una forma di spettacolo nata in Francia già nel XIX secolo, anche se alcune sue forme primitive furono già di invenzione seicentesca. Si trattava di primitivi ristoranti, solitamente locali notturni, all’interno dei quali venivano allestiti spettacoli culturali di vario tipo: teatro, danza e concerti. Ancora oggi il cabaret è una forma di intrattenimento leggero molto apprezzata in tutto il mondo, anche se assume caratteristiche diverse da Paese a Paese. Fu durante gli anni ’20 e gli anni ’30 che questo tipo di spettacolo di origine francese iniziò a diventare famoso in tutti i Paesi dell’Occidente, grazie proprio alla fama di cui godeva all’interno del suo Paese di provenienza.

Spettacolo alle Folies Bergère. Immagine di pubblico dominio.

Ma in quegli anni, il cabaret iniziò anche ad evolversi, oltre che a diffondersi: proprio all’interno dei locali notturni, negli anni ’20, vennero introdotti nuovi generi musicali, tra i quali spiccava il jazz americano, che poté svilupparsi grazie anche all’invenzione del grammofono e del fonografo. Negli années folles, infatti, la cultura americana cominciò a esercitare i primi effetti su quella europea. In particolar modo, ebbe grandissima importanza l’influenza della cultura nera, non solo nella musica e nel canto, ma anche per quel che riguardava la danza: i balli nati all’interno della popolazione afroamericana del sud degli Stati Uniti, tra cui soprattutto il Charleston, rimpiazzarono presto il balletto classico, il valzer e il cancan, forme di ballo di origine tutta europea. Si poteva parlare, in quegli anni, di una vera e propria “negrofilia”, tanto che nel 1925 nacque a Parigi una forma di spettacolo chiamato “Revue nègre” le cui star indiscusse furono l’attore afroamericano Louis Douglas (1889- 1839) e la ballerina meticcia (americana di nascita e poi naturalizzata francese) Joséphine Baker (1906- 1975). Quest’ultima fu la più grande interprete dei nuovi balli e delle forme di intrattenimento spregiudicato che nacquero in quegli anni: i locali offrivano infatti anche spettacoli di spogliarello oppure danze con costumi etnici caraibici, molto scandalosi per l’epoca, che andarono di moda fino agli anni ’40.

Joséphine Baker in una foto degli anni ’20. Foto tratta da Wikipedia. Immagine di pubblico dominio.

Come già detto, molti dei giovani risentivano profondamente dell’atmosfera briosa di quegli anni, lasciandosi intrattenere da ogni forma di spettacolo e dandosi a una vita di bagordi; altri però, più pessimisti e delusi dalla mancanza di ideali della società e dalla perdita dell’eurocentrismo sostituito dall’americentrismo, preferivano dare il proprio contributo alla cultura dedicandosi soprattutto all’arte e alla letteratura, portavoce dei tempi che stavano cambiando velocemente portandosi dietro un sottofondo di amarezza ed incertezza. Negli anni ’20 nacque infatti quella che venne chiamata École de Paris (Scuola di Parigi), termine con il quale si indicavano tutti gli artisti e letterati, francesi o stranieri, residenti nella metropoli parigina e dediti a ogni forma di arte in generale.

Amedeo Modigliani: “Elvire col colletto bianco”, immagine di pubblico dominio.

Facevano parte di questa scuola gli esponenti del Cubismo (Georges Braque, Pablo Picasso, Robert Delaunay, Marcel Duchamp e Guillaume Apollinaire, che fu un’avanguardia del Surrealismo), gli esponenti del Surrealismo (Jacques Prévert,  André Breton e Paul Éluard) e del Dadaismo (Guillaume Apollinaire,  Rrose Sélavy, Tristan Tzara e Hans Arp), movimenti pittorici e letterari in cui veniva espressa tutta l’incertezza del presente. La fama dell’École de Paris fu tale che molti intellettuali stranieri lasciarono la propria terra per trasferirsi a Parigi e lasciarsi ispirare dalla nuova corrente di pensiero. Tra questi si ricordano il già citato Pablo Picasso, insieme a René Magritte, Amedeo Modigliani e Marc Chagall, che furono anch’essi importanti esponenti della scuola.

I numerosi locali notturni di Parigi vennero eletti come sede di ritrovo degli artisti residenti nei quartieri di Montmartre e di Montparnasse, zone dove si concentrava la maggior parte dei pittori e dei letterati. La Rive Gauche (Riva sinistra) della Senna, il fiume più importante di Parigi e della Francia, divenne il cuore dell’attività artistica dei giovani intellettuali dediti alla vita bohémienne, termine col quale, già alla fine dell’Ottocento, si indicava uno stile di vita dissoluto e di estrema povertà ai quali erano dediti i giovani artisti di Parigi.

Negli anni ’20 cambiò drasticamente il ruolo sociale della donna: dopo la Prima Guerra Mondiale, l’abbandono dei centri abitati da parte degli uomini che dovevano partire per il fronte, aveva indirettamente dato importanza al ruolo delle donne nel gestire la casa e mandare avanti gli affari: le mogli si erano ritrovate a dover sostituire i mariti nel sostentamento economico della famiglia, e questo aveva permesso loro di andare a lavorare e di trovare la propria indipendenza. Fu così che durante gli Années Folles l’emancipazione femminile, già richiesta a gran voce durante la Belle Époque attraverso il movimento delle suffragette, trovò finalmente la sua realizzazione.

Oltre a poter lavorare e andare a scuola, negli anni ’20 le donne iniziarono anche a guidare la macchina, a gestire indipendentemente il proprio denaro, a vestire in maniera più funzionale e spregiudicata e a godere di maggior libertà, riscoprendo anche la propria sessualità.

Joan Crawford in una foto degli anni ’20. Immagine di pubblico dominio tratta da Wikipedia.

In quegli anni, i canoni di bellezza della donna cambiarono radicalmente: sulla scia delle grandi conquiste fatte a livello sociale, nacquero le “Flappers”, ossia le donne “mascoline” che dall’America si diffusero poi in tutto l’Occidente. Le Flappers (letteralmente “donne che volano” o “che fanno flap flap”) erano giovani donne emancipate il cui stile spregiudicato andava volutamente contro i canoni imposti per tanti anni alle donne sottomesse dell’Ottocento: i capelli erano corti “alla maschietta”, i vestiti facevano vedere le gambe ed erano senza punto vita, il viso truccatissimo e l’atteggiamento più libero e seducente (le Flappers portavano gioielli vistosifumavano e partecipavano ai cosiddetti “Petting Parties” dominati da un’assoluta amoralità). Il loro look si ispirava alle ballerine di Charleston e al make-up molto pesante che le attrici di Hollywood, per ragioni di luce e di inquadrature, erano costrette a portare. L’invenzione del reggiseno nel 1919 da parte dello stilista francese Paul Poiret portò all’abbandono del corsetto, altro fattore che determinò una ritrovata libertà da parte della donna, anche nelle movenze (da qui il nome “Flapper”).

Un gruppo di Flappers degli anni ’20.

Nel 1925 l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne (Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes) che si tenne a Parigi, dette poi vita ad un nuovo importantissimo stile: l’ Art Déco, un meraviglioso nuovo stile architettonico e decorativo che si affermò maggiormente negli anni ’30 e perdurò fino agli anni ’60.

Se vuoi saperne di più sugli anni ’20, visita anche le appendici all’argomento:

LA PICCOLA INTESA

GLI ANNI ’20 IN AMERICA

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