LIBRO VII “DE BELLO GALLICO”

Nel VII e ultimo libro del “De Bello Gallico” di Giulio Cesare viene descritta l’ultima fase della Guerra Gallica, e cioè lo scontro tra Cesare e Vercingetorige che ebbe luogo dal febbraio all’ottobre dell’anno 52 a.C. Vai anche alla pagina VERCINGETORIGE E LA GUERRA GALLICA per avere il panorama generale degli eventi narrati da Cesare in quest’ultimo  libro.

In realtà, nella tradizione è presente anche un VIII libro, che però non fu scritto da Cesare.

Si riportano alcuni passi in lingua originale dell’opera, con traduzione in seguito + il riassunto di altri capitoli.

PREMESSE DELLA GUERRA CONTRO VERCINGETORIGE

[1] Quieta Gallia Caesar, ut constituerat, in Italiam adconventus agendos proficiscitur. Ibi cognoscit de Clodii caede [de] senatusque consulto certior factus, ut omnes iuniores Italiae coniurarent,delectum tota provincia habere instituit. Eae res in Galliam Transalpinam celeriter perferuntur. Addunt ipsi et ad fingunt rumoribus Galli, quod res poscere videbatur, retineri urbano motu Caesarem neque in tantis dissensionibus ad exercitum venire posse. Hac impulsi occasione, qui iam ante se populi Romani imperio subiectos dolerent liberius atque audacius de bello consilia inire incipiunt. Indictis inter se principes Galliae conciliis silvestribus ac remotis locis queruntur de Acconis morte; posse hunc casum ad ipsos recidere demonstrant: miserantur communem Galliae fortunam: omnibus pollicitationibus ac praemius deposcunt qui belli initium faciant et sui capitis periculo Galliam in libertatem vindicent. In primis rationem esse habendam dicunt, priusquam eorum clandestina consilia efferantur, ut Caesar ab exercitu intercludatur. Id esse facile, quod neque legiones audeant absente imperatore ex hibernis egredi, neque imperator sine praesidio ad legiones pervenire possit. Postremo in acie praestare interfici quam non veterem belli gloriam libertatemque quam a maioribus acce perint recuperare.

[I] Una volta tornata la calma in Gallia, Cesare, così come aveva stabilito, parte per l’Italia per presiedere i suoi affari. Qui apprende l’uccisione di Clodio e, informato dal senato della decisione di arruolare tutti i giovani d’Italia, ordina che ciò sia fatto (anche) in tutta la sua provincia (la Gallia Cisalpina ). Questi fatti arrivano presto alle orecchie di tutta la Gallia (Transalpina). Raggiungono i Galli e questi vi aggiungono delle voci, come comportava la situazione, (mentre) Cesare è trattenuto dalle agitazioni nell’urbe e per via di tali disordini non può tornare al suo esercito (stanziato in Gallia). Cogliendo l’occasione di tale impulso, e già scontenti di essere soggetti all’egemonia del popolo Romano, (i Galli) iniziano a ordire trame di guerra più liberamente e audacemente (di prima). Riuniti tra di loro i capi della Gallia in riunioni (svolte) in mezzo al bosco e in luoghi remoti, si lagnano della morte di Accone [capo dei Senoni, fatto condannare a morte da Cesare l’anno prima: Nota del Traduttore]; e indicano che questa stessa sorte potrebbe toccare a loro: commiserano la sorte comune della Gallia: con (il pretesto di) mille promesse e premi cercano chi si prenda la resposabilità di iniziare una guerra e a suo rischio e pericolo conduca i Galli alla libertà. In primo luogo dicono che bisogna, prima che si sappia delle loro riunioni clandestine, tagliar fuori Cesare dall’esercito (stanziato in Gallia). Questo sarà facile, poiché le legioni non osano uscire dai quartieri invernali in assenza del loro comandante, né il comandante può raggiungere le legioni senza un salvacondotto. Infine è meglio essere uccisi in battaglia che rinunciare a riconquistare l’antica gloria bellica e la libertà avuta dai propri padri.

[2] His rebus agitatis profitentur Carnutes se nullum periculum communis salutis causa recusare principesque ex omnibus bellum facturos pollicentur et, quoniam in praesentia obsidibus cavere inter se non possint ne res efferatur, ut iure iurando ac fide sanciatur, petunt, collatis militaribus signis, quo more eorum gravissima caerimonia continetur, ne facto initio belli ab reliquis deserantur. Tum collaudatis Carnutibus, dato iure iurando ab omnibus qui aderant,tempore eius rei constituto ab concilio disceditur.

[2] Animati da questa discussione, i Carnuti si impegnano a non arretrare davanti a nessun pericolo per la comune salvezza, e promettono di essere i primi tra tutti a cominciare la guerra e, poiché al momento presente non possono garantirsi tra di loro uno scambio né di ostaggi né di bottino, chiedono che venga fatto un giuramento solenne perché non sia fatta menzione dagli altri di un inizio di una guerra, una volta spiegate le insegne militari, dal momento che quella solenne cerimonia era stata tenuta secondo la loro usanza. Dunque, tra uno scriscio di elogi, i Carnuti ottengono il giuramento di tutti e, stabilito quando iniziare l’evento, il concilio si scioglie.

[3] Ubi ea dies venit, Carnutes Cotuato et Conconnetodumno ducibus, desperatis hominibus, Cenabum signo dato concurrunt civesque Romanos, qui negotiandi causa ibi constiterant, in his Gaium Fufium Citam, honestum equitem Romanum, qui rei frumentariae iussu Caesaris praeerat, interficiunt bonaque eorum diripiunt. Celeriter ad omnes Galliae civitates fama perfertur. Nam ubicumque maior atque illustrior incidit res, clamore per agros regionesque significant; hunc alii deinceps excipiunt et proximis tradunt, ut tum accidit. Nam quae Cenabi oriente sole gesta essent, ante primam confectam vigiliam in finibus Arvernorum audita sunt, quod spatium est milium passuum circiter centum LX.

[3] Dopo quel giorno, i Carnuti, sotto il comando di Cotuato e Conconnetodumno, uomini disperati, a un dato segnale accorrono a Cenabum e uccidono dei cittadini Romani che erano là per fare dei commerci, fra cui Gaio Fufio Cita, onesto cavaliere romano, che intratteneva lo scambio di frumento per conto di Cesare, e depredano i loro beni. La fama di questo evento fa presto il giro di tutti gli abitanti di Gallia. Infatti appena si svolge una cosa più grande e illustre (del solito), ne riportano la notizia con grande clamore per tutte le campagne e le regioni; il messaggio viene riferito da persona a persona, e così avvenne (anche) allora. Tant’è vero che, il fatto accadde a Cenabo al levar del sole, (e) la cosa fu udita ai confini defli Arverni prima delle nove di sera, e (qui) bisogna tenere presente che fra i due territori vi è una distanza di circa 160 miglia.

[4] Simili ratione ibi Vercingetorix, Celtilli filius, Arvernus, summae potentiae adulescens, cuius pater principatum Galliae totius obtinuerat et ob eam causam, quod regnum appetebat, ab civitate erat interfectus, convocatis suis clientibus facile incendit. Cognito eius consilio ad arma concurritur. Prohibetur ab Gobannitione, patruo suo, reliquisque principibus, qui hanc temptandam fortunam non existimabant, expellitur ex oppido Gergovia; non destitit tamen atque in agris habet dilectum egentium ac perditorum. Hac coacta manu, quoscumque adit ex civitate ad suam sententiam perducit; hortatur ut communis libertatis causa arma capiant, magnisque coactis copiis adversarios suos a quibus paulo ante erat eiectus expellit ex civitate. Rex ab suis appellatur. Dimittit quoque versus legationes; obtestatur ut in fide maneant. Celeriter sibi Senones, Parisios, Pictones, Cadurcos,Turonos, Aulercos, Lemovices, Andos reliquosque omnes qui Oceanum attingunta diungit: omnium consensu ad eum defertur imperium. Qua oblata potestate omnibus his civitatibus obsides imperat, certum numerum militum ad se celeriter adduci iubet, armorum quantum quaeque civitas domi quodque ante tempus efficiat constituit; in primis equitatui studet. Summae diligentiae summam imperi severitatem addit; magnitudine supplici dubitantes cogit. Nam maiore commisso delicto igni atque omnibus tormentis necat, leviore de causa auribus desectis aut singulis effossis oculis domum remittit, ut sint reliquis documento et magnitudine poenae perterreant alios.

[4] Per questa ragione Vercingetorige, figlio di Celtillo, della tribù degli Arverni, giovane di grande valore, il cui padre era stato capo di tutta la Gallia e per questa ragione, poiché (era) desideroso di assoggettarla, era stato ucciso dal suo stesso popolo, convocata la sua gente, riesce a infiammarli facilmente. Saputo il suo volere, questi prendono mano alle armi. Ostacolato da Gobannizione, suo zio paterno, e dagli altri capi, che erano convinti che non andasse tentata questa strada, viene espulso dalla città di Gergovia; tuttavia non desiste e arruola gente miserabile e perduta nelle campagne. Con un simile esercito forzato, conduce dalla sua parte chiunque gli capiti; lo esorta a prendere le armi per la libertà comune, e con una grande armata scaccia dalla città i suoi avversari dai quali poco prima era stato scacciato lui stesso. Viene chiamato re dai suoi seguaci. Manda anche delle ambascerie in ogni dove; li scongiura a rimanere fedeli. Presto riunisce a sé i Senoni, i Parisi, i Pittoni, i Cadurci, i Turoni, gli Aulerci, i Lemovici, gli Andi e tutti quelli che abitano presso l’Oceano: col consenso di tutti gli viene conferito il comando. Ottenuto il potere, comanda ostaggi a tutte le sue tribù, ordina di portargli velocemente un certo numero di soldati, stabilisce la quantità di armi che ogni città e casa deve possedere e in quanto tempo; e per prima cosa organizza la cavalleria. Aggiunge alla grande severità del suo comando una grande strategia; costringe i dubbiosi (a seguirlo) attraverso enormi supplizi. Infatti condanna al rogo e a tutte le torture (possibili) ogni massimo dellitto che viene commesso, (mentre) per una colpa meno grave rimanda a casa con le orecchie tagliate oppure senza un occhio, affinché le pene (inflitte) siano esempio per gli altri e possano spaventarli (abbastanza).

[5] His suppliciis celeriter coacto exercitu Lucterium Cadurcum, summae hominem audaciae, cum parte copiarum in Rutenos mittit; ipse in Bituriges proficiscitur. Eius adventu Bituriges ad Aeduos, quorum erant in fide, legatos mittunt subsidium rogatum, quo facilius hostium copias sustinere possint. Aedui de consilio legatorum, quos Caesar ad exercitum reliquerat, copias equitatus peditatusque subsidio Biturigibus mittunt. Qui cum ad flumen Ligerim venissent, quod Bituriges ab Aeduis dividit, paucos dies ibi morati neque flumen transire ausi domum revertuntur legatisque nostris renuntiant se Biturigum perfidiam veritos revertisse, quibus id consili fuisse cognoverint, ut, si flumen transissent, una ex parte ipsi, altera Arverni se circumsisterent. Idea ne de
causa, quam legatis pronuntiarunt, an perfidia adducti fecerint, quod nihil nobis constat, non videtur pro certo esse  proponendum. Bituriges eorum discessu statim cum Arvernis iunguntur.

[5] Dopo aver rimesso all’ordine l’esercito con tali supplizi, (Vercingetorige) manda Lucterio dei Cadurci, uomo di grande audacia, presso i Ruteni con una parte delle truppe; questi si dirige presso i Biturigi. Alla sua venuta i Biturigi mandano degli ambasciatori presso gli Edui, di cui erano alleati, per chiedere loro aiuto, in modo che possano respingere più facilmentere le truppe nemiche. Gli Edui, che Cesare aveva lasciato insieme all’esercito, sotto consiglio degli ambasciatori, mandano delle truppe di cavalleria e di fanti in aiuto ai Biturigi. (Ma) quando questi giungono presso il fiume Loira, che divide il territorio dei Biturigi da quello degli Edui, vi sostano per pochi giorni e, non osando oltrepassare il fiume, ritornano a casa riferendo ai nostri ambasciatori (romani)  di aver fatto marcia indietro per paura di un tradimento da parte dei Biturigi, dei quali avevano scoperto i piani, e cioè che, se oltrepassavano il fiume, sarebbero stati circondati una parte da loro (i Biturigi) e l’altra dagli Arverni. Non avendo idea del perché dissero così agli ambasciatori, e se (per caso) non furono loro (invece a tradirli), e dal momento che noi di ciò non sappiamo nulla, non possiamo riferire niente per certo. (Sta di fatto che) dopo il loro ritorno i Biturigi si uniscono subito agli Arverni.

CESARE TORNA IN GALLIA

[6] His rebus in Italiam Caesari nuntiatis, cum iam ille urbanas res virtute Cn. Pompei commodiorem in statum pervenisse intellegeret, in Transalpinam Galliam profectus est. Eo cum venisset, magna difficultate adficiebatur, qua ratione ad exercitum pervenire posset. Nam si legiones in provinciam arcesseret, se absente in itinere proelio dimicaturas intellegebat; si ipse ad exercitum contenderet, ne eis quidem eo tempore qui quieti viderentur suam salutem recte committi videbat.

[6] Queste cose furono riferite a Cesare in Italia, e questi, avendo già capito che gli affari di Roma si erano aggiustati grazie al valore di Cn. Pompeo, parì per la Gallia Transalpina. Non appena arrivò, si trovò in grave difficoltà nel riuscire a raggiungere il suo esercito. Infatti se avesse richiamato le legioni in provincia, capiva che durante la marcia  avrebbero combattuto senza di lui; se invece fosse andato lui dall’esercito, gli era chiaro che in quell’arco di tempo avrebbe potuto rischiare la vita anche presso quei popoli che sembravano tranquilli.

RIASS. CAPITOLO 7 E 8: Lucterio, capo dei Cadurci, riesce a mediare l’alleanza tra gli Arverni e i Ruteni e marcia verso Narbona, ma Cesare lo precede. Giunto poi presso gli Elvi, sconfiggendoli presso i monti Cevenne, il proconsole si sposta nella terra dei Biturigi diretto verso gli Arverni, tribù di Vercingetorige.

PRIMI SCONTRI TRA CESARE E I GALLI

RIASS. CAPITOLO 9 -10-11 e 12: Cesare lascia il comando a Bruto e si dirige a Vienna per arruolare altri soldati e rinforzare le sue difese. Vercingetorige sposta l’esercito nella terra dei Biturigi e assedia Gorgobina, una città della tribù dei Boi, protetti dagli Edui che, come ricorderemo, erano alleati di Cesare. Cesare, preoccupato per il da farsi, manda dei messaggeri ai Boi per annunciarli del suo imminente ritorno in Gallia lasciando agli Edui il compito di trasportare i viveri. In seguito, giunto a Cenabum, che era stata teatro del massacro dei mercanti romani da parte dei Carnuti, fa saccheggiare e incendiare la città e arriva nella terra dei Biturigi, dopo aver riportato vittorie anche a Vellaunoduno e Novioduno. Questa notizia fa sì che Vercingetorige rinunci all’assedio di Gorgobina per andare incontro a Cesare.

L’ASSEDIO DI AVARICO

RIASS. CAPITOLO 13 – 14 e 15: Dopo un primo scontro coi Galli, Cesare si dirige ad Avarico, la più importante città dei Biturigi. E’ allora che Vercingetorige, riunito un consiglio, decide di adottare la tattica della “terra bruciata”, e cioè di incendiare ogni città per impedire ai Romani di rifornirsi di viveri. Questa decisione, sebbene molto dolorosa, viene comunque accettata dai Galli per la speranza di far finire presto la guerra. Dopo aver visto distrutte una ventina delle loro città, i Biturigi implorano che venga risparmiata almeno Avarico, che, a detta loro, era la città più bella di tutta la Gallia. Si conta sul fatto che la città possa essere lo stesso ben difesa dalla presenza di fiumi e paludi ed accessi molto angusti. Vercingetorige, nonostante la sua famosa severità, decide di acconsentire alle loro suppliche.

RIASS. CAPITOLO 16-17: Vercingetorige stanzia l’accampamento a sedici miglia da Avarico per sorvegliare le mosse dei Romani. Cesare, all’inizio ostacolato dall’insolita geografia della città, decide di costruirvi un terrapieno. La sua più grande preoccupazione è per le razioni dei viveri, che gli alleati Boi non sono in grado di centellinare e che gli alleati Edui non sono in grado di risparmiare. I suoi soldati sono costretti a sfamarsi col bestiame, ma non muovono comunque alcuna lamentela.

RIASS. CAPITOLO 18-19: Cesare sventa un agguato di Vercingetorige contro i soldati Romani che si sarebbero recati nei territori appena fuori Avarico per cercare rifornimenti. I Galli si nascondono presso un colle cinto da una palude. Dal momento che i soldati chiedono a gran voce un intervento armato per uscire da quella fase di stallo, Cesare si decide a ordinare l’assedio di Avarico.

RIASS. CAPITOLO 20 e 21: Vercingetorige fa ritorno nel quartier generale degli Arverni e viene accusato di tradimento da parte dei suoi, che nel frattempo erano stati attaccati dai Romani mentre lui era partito per Avarico. Viene inoltre accusato di voler regnare in Gallia col favore di Cesare anziché con il loro, ma a queste accuse il Gallo si difende abilmente. Non solo, ma si offre inoltre di lasciare il comando, se questo può fare contento il suo popolo, ma prima cerca di convincerli della sua buona fede ponendogli davanti alcuni suoi servi trasversiti da legionari romani, i quali si mettono a raccontare quanto i soldati delle fila di Cesare stiano patendo la fame grazie all’abile strategia di Vercingetorige. In questo modo, quest’ultimo riottiene la fiducia del suo popolo.

RIASS. CAPITOLO 22-23-24 e 25: Viene minuziosamente descritto l’assedio della città di Avarico, che ebbe luogo per numerosi giorni nel mese di febbraio del 52 a.C. Cesare descrive sia le difficoltà incontrate dai suoi soldati, spossati dalla fame e dal freddo, sia l’abilità bellica dei Galli, dei quali riconosce il valore, il coraggio e la similitudine con le tattiche militari romane.

RIASS. CAPITOLO 26: Vistisi in svantaggio, i Galli decidono di abbandonare la città nel cuore della notte, per fare in modo che i Romani non si accorgano della loro fuga, con l’intento, però, di lasciare indifesi donne e bambini. Le donne, non riuscendo a far recedere i soldati dal loro proposito, iniziano ad avvertire i Romani, facendo in modo che il progetto fuga dei loro uomini fallisca.

RIASS. CAPITOLO 27-28-29 e 30: Cesare decide di scagliare l’attacco finale grazie al favore della pioggia, che riduce il numero di sentinelle nemiche. Una volta penetrato nella città, Cesare fa uccidere ogni singolo abitante, comprese le donne e i bambini. I pochi sopravvissuti si rifugiano da Vercingetorige. Questi consola tutti dicendo loro che la perdita di una battaglia non significa perdita della guerra, e che i Romani, molto più esperti di loro nell’assedio, avevano colto i Biturigi impreparati. Aggiunge inoltre che sarebbe stato meglio fare come aveva profeticamente consigliato fin dal principio, cioè incendiare Avarico. Questo discorso accresce la fiducia dei Galli in Vercingetorige e li anima di un nuovo spirito, facendo sì che inizino a fortificare maggiormente le città senza lamentarsi delle fatiche.

IL TRADIMENTO DEGLI EDUI

RIASS. CAPITOLO 31: Vercingetorige, per cercare di compensare le perdite subite durante l’assedio di Avarico, riunisce a sé altre popolazioni della Gallia. In particolare, si unisce a lui Teutomato, capo dei Nitiobrogi, che era sempre stato considerato un amico dal Senato romano.

RIASS. CAPITOLI 32 e 33: Intanto, Cesare utilizza i rifornimenti trovati presso Atavico per nutrire i suoi soldati stremati; ma prima che possa ripartire, vengono da lui dei messaggeri Edui per fargli nota una disputa sorta presso il loro popolo: erano stati eletti come re Convictolitave e Coto, che erano subito entrati in conflitto per sapere a quale dei due spettava il primato, dal momento che la loro elezione sembrava legale ma la legge proibiva che ci fossero due capi. Questo impedisce a Cesare di inseguire Vercingetorige, poiché preferisce evitare che gli Edui, alleati preziosi dei Romani, arrivino alla guerra civile. Viene convocata un’assemblea e si decide per la destituzione di Coto, dal momento che la sua elezione risulta non conforme alle leggi edue.

RIASS. CAPITOLO 34: Messo fine alla disputa, Cesare riparte all’inseguimento di Vercingetorige. Affida una parte delle truppe al suo luogotenente Labieno, per combattere la rivolta dei Parisi e dei Senoni, e si tiene l’altra parte per sé.

RIASS. CAPITOLI 35-36-37-38-39-40:Cesare si trova di fronte a Vercingetorige sulle sponde del fiume Allier. Ordinata la marcia, Vercingetorige decide di allontanarsi per evitare lo scontro diretto. Dopo alcuni conflitti, riesce a occupare il colle dove i nemici si erano stanziati. Convictolitave, capo assoluto degli Edui, si fa corrompere dal denaro degli Arverni e si allea con Litavicco. Quest’ultimo accusa ingiustamente i Romani di aver condannato a morte senza un processo i suoi parenti e alcuni membri dell’aristocrazia, e di essersi macchiati di numerosi delitti. In questo modo, smuove gli animi della gente a vendicare le presunte ingiurie subite. Cesare viene informato di ciò dal giovane Eporedorige, di stirpe edua. Il piano di Litavicco viene smascherato, ma questi, coi suoi fratelli, fugge in Gergovia.

RIASS. CAPITOLI 41-42-43-44: Cesare decide di risparmiare la vita agli Edui traditori. Ma mentre è sulle tracce di Litavicco, gli si presentano davanti alcuni cavalieri mandati da C. Fabio per avvertirlo che il loro campo è stato attaccato dai nemici. Mentre Cesare è impegnato a raggiungere il campo di Fabio, gli Edui ne approfittano per saccheggiare i campi romani, assieme anche alla complicità di Convictolitave. Anche il tribuno M. Aristio cade in un’imboscata. Per evitare una severa punizione da parte di Cesare, gli Edui gli fanno credere che i responsabili dell’aggressione siano ribelli sfuggiti alla normale giurisdizione, che è appunto quella di Cesare. Cesare, aspettandosi un poderoso attacco da parte di Vercingetorige, fa finta di non essere in collera coi ribelli per poter avere il tempo di rinforzare le sue truppe.

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