LA FRANCIA DEL REGGENTE

Eventi principali del periodo storico francese chiamato “Reggenza”, in cui la Francia era governata dal Reggente Filippo d’Orléans in attesa del raggiungimento dell’età adulta da parte del re Luigi XV, salito al trono a cinque anni.

Luigi XIV detto “Il Re Sole” morì di gangrena nel 1715.

Deceduti tutti i suoi figli, l’unico erede diretto rimasto era Luigi XV, il suo pronipote, che all’epoca aveva solamente cinque anni. Per questo motivo, fu affiancato da un Reggente, suo zio Filippo d’Orléans, fino al raggiungimento della maggiorennità, fissata a 13 anni.

Dal 1715 al 1723, anche se sulla carta il re era Luigi XV, di fatto era il Reggente (Filippo II duca d’Orléans) a detenere il vero potere in Francia. Mentre il sovrano visse sempre alla Reggia di Versailles, il duca d’Orléans viveva al Palais Royal di Parigi, residenza di tutti gli Orléans. Il suo mandato come Régent du Royaume ebbe inizio il 2 settembre 1715 e terminò il 15 febbraio 1723.

Questa figura politica, già membro del Parlement de Paris, riuscì a prevalere sul Duca di Maine (figlio illegittimo di Luigi XIV e Madame de Montespan) e ad avere pieno controllo durante otto anni di difficile situazione economica. Quest’arco di tempo fu chiamato “Reggenza” (Régence) e, a causa delle decisioni fallimentari che vi furono prese, portò il Paese alla bancarotta di Stato.

Filippo II d’Orléans, il Reggente di Francia.

All’epoca della successione al trono del giovane principe, in Francia restavano due questioni molto importanti da risolvere. Una di queste era la nobiltà che manifestava la sua insoddisfazione verso la centralizzazione attuata dal Re Sole (si ricorda che gli Stati Generali creati da Filippo il Bello non erano più stati convocati dal 1614) assieme ai Parlamenti, anch’essi privati del loro ruolo di guida dello Stato. Un’altra questione era la grave crisi economica portata avanti anche dalle forti esenzioni fiscali di cui godevano i nobili e il clero, rappresentanti in Francia il Primo e il Secondo Stato di Francia. Il Terzo Stato, che costituiva il 97% della popolazione, era il vero detentore del potere di fatto ma non sulla carta, e in particolare la borghesia a cui erano affidati tutti gli incarichi di potere. Allo stesso tempo, però, era anche il Terzo Stato quello su cui gravava l’onere delle tassazioni, che diventavano anno dopo anno sempre più insostenibili.

A livello politico, il Reggente si mostrò dapprima ben disposto a dare più poteri ai Parlamenti, in particolare quello di discutere le leggi proposte dal sovrano (o dal Reggente stesso) prima che fossero emanate ufficialmente. A questo scopo, emanò l’Annullamento della volontà di Luigi XIV concedendo al Parlamento il Droit de remontrance (Diritto di rimostranza), ciascun ministro fu sostituito da un consiglio di governo (polisinodia) e venne permesso all’aristocrazia di partecipare a questi consigli. Successivamente, però, questi diritti vennero revocati e anche il Reggente cominciò a farsi promotore della politica assolutistica del Re Sole.

Per quanto riguardava la questione economica, venne affidato a John Law, finanziere scozzese, il compito di rimettere in sesto le casse dello Stato che erano fortemente in pericolo. Tra il 1716 e il 1719, Law elaborò un sistema finanziario, noto come “Sistema Law”o “Sistema del Mississippi”, che prevedeva sostanzialmente la creazione di una banca regia (la Banque Générale) che emettesse cartamoneta al posto di quella metallica, e la creazione della cosiddetta “Compagnia delle Indie Occidentali” (o Compagnia del Mississippi), che aveva il compito di sfruttare al massimo le risorse della colonia della Louisiana, le cui azioni andarono presto a ruba (se sei interessato all’argomento, vai anche alla pagina su JACQUES CARTIER E IL COLONIALISMO FRANCESE). Nel 1719 John Law divenne controllore generale della finanze ottenendo così anche il monopolio della gestione delle imposte dirette.

John Law.

Dapprima, il sistema di Law sembrò l’ideale, ma successivamente la corsa all’accaparramento delle azioni della Compagnia delle Indie gonfiò le quotazioni al di là del loro effettivo valore, cosicché gli investitori non ottennero il profitto sperato. Nel 1720 le azioni furono quasi tutte vendute, peggiorando la situazione economica a causa della fuga di capitale. John Law fu costretto alla fuga proprio come il denaro, mentre la Banca Generale e la Compagnia delle Indie Occidentali furono chiuse. Le banconote furono ritirate dalla circolazione, come pure tutte le obbligazioni emesse dalla banca. Lo Stato si trovava in completa bancarotta.

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