STORIA DI RE ARTU’

Re Artù, come è noto, è il personaggio principale della saga del regno di Camelot, resa famosa soprattutto attraverso la Chanson de Geste dei trovieri francesi del XII secolo.

Sebbene la leggenda sia di origine anglo-gallese (fu infatti Goffredo di Monmouth il primo a narrare le sue vicende nell’ “Historia Regum Britanniae”), sono stati i poemi francesi della Chanson de Geste, facenti parte del cosiddetto “ciclo bretone” o “ciclo arturiano”, a diffondere la conoscenza di questo re dei Britanni che viveva a Camelot, regno mai esistito ma che ha ispirato la fantasia di centinaia di generazioni. Altro importantissimo poema che ha contribuito a diffondere il suo mito (più tardivo rispetto ai poemi francesi) è “La morte di Artù” di Sir Thomas Malory, pubblicato nel 1485 in Inghilterra.

Minatura di Re Artù presente all’interno dell’ “Epitome of Chronicles”. Immagine di pubblico dominio.

Secondo la leggenda universalmente nota, Re Artù (King Arthur o Roi Arthur) visse in Britannia (antico nome dell’Inghilterra) nel V secolo d.C., all’epoca in cui i Sassoni e i Britanni combattevano per il predominio sull’isola e stava avvenendo la conversione della popolazione dal paganesimo al cristianesimo.

Artù era figlio illegittimo di Uther Pendragon, il re di una tribù di Britanni che, aiutato dal mago Merlino (Merlin), aveva preso le sembianze del duca di Cornovaglia, Gorlois, per poter giacere con sua moglie Igraine, madre di Morgana (Morgain). Sempre secondo la leggenda, Gorlois sarebbe stato poi fatto uccidere da Uther, mentre Morgana, ancora legata alle usanze pagane, sarebbe divenuta una strega.

“Fata Morgana”, dipinto di Frederrick Sandys del 1864. Immagine di pubblico dominio.

Artù venne allevato da Merlino e da Sir Ector senza mai venire a conoscenza di chi fossero i suoi genitori e la sua sorellastra, fino al momento di estrarre la famosa “spada nella roccia” chiamata Excalibur, gesto che lo  consacrò per sempre re di tutta la Britannia, prima di allora divisa in tribù. Secondo una versione del mito, la spada Excalibur scese dal cielo proprio per stabilire chi fosse il legittimo erede al trono dopo la morte di Uther Pendragon; ma secondo un’altra versione, la spada nella roccia non era Excalibur, poiché Excalibur venne donata a Merlino (che a sua volta la donò ad Artù) dalla Dama del Lago conosciuta come Viviana o Nimue, colei che anni dopo avrebbe anche ucciso il mago.

La spada nella roccia. Immagine tratta dal sito webnovel.com.

Nel poema “Lancillotto o il cavaliere della carretta”, il troviero Chrétien de Troyes narra come Artù costruì la sua fortezza a Camelot, e di come si circondò di dodici cavalieri (12 come gli apostoli) che sedevano insieme a lui alla Tavola Rotonda costruita da Merlino. La forma della tavola serviva acciocché nessuno, neppure il re, potesse sedere a capotavola, e dunque nessuno si reputasse superiore a un altro per il proprio rango. Il posto d’onore era riservato piuttosto al cavaliere che avrebbe trovato il calice chiamato “Sacro Graal“, ossia l’unica persona che avrebbe potuto sedere sul Seggio Periglioso su cui bruciava una fiamma perpetua.

I tre cavalieri che partirono alla ricerca del Graal, sperduto in Britannia, furono Percival (o Parsifal), Bors e Galahad il Casto. Quest’ultimo, come dice il suo soprannome “il Casto”, fu il prescelto per il ritrovamento della reliquia proprio perché puro di cuore: secondo la tradizione, infatti, solo i puri di cuore avrebbero potuto trovare il mitico calice utilizzato da Gesù Cristo nell’Ultima Cena (clicca sulla “parola calda” soprastante per saperne di più).

“Sir Galahad”, dipinto di George Frederic Watts del XIX secolo. Immagine di pubblico dominio.

La ricerca del Santo Graal aveva un significato simbolico molto importante per Artù. Innanzitutto, il popolo in possesso del calice era considerato benedetto da Dio e dunque il più degno sulla Terra. Pertanto, il suo ritrovamento era una tacita consacrazione degli ideali di giustizia e di lealtà che vigevano a Camelot, di cui Artù e i suoi cavalieri si facevano difensori; inoltre, nella finzione letteraria, le vicende dei cavalieri legate al Santo Graal testimoniano la fine del culto pagano e l’inizio ufficiale del culto cristiano in Britannia.

Oltre ai tre sopra nominati, tra i cavalieri di Re Artù vi erano anche: Lancillotto, Gareth, Gawain (o Galvano, colui che aveva sconfitto il Cavaliere Verde), Kay, Pellinore, Tristano, Bedivere, Mordred (figlio illegittimo di Artù e della sua sorellastra Morgana) e infine Malagant, che si ribellò successivamente alle leggi di Camelot.

Divenuto re, Artù sposò la bella principessa Ginevra (Guinevere) figlia del re Leodegrance; ma, nel poema francese “Lancillotto o il cavaliere della carretta” (come pure in “Morte di Artù”), viene riferito come ella si innamorò di Lancillotto dopo essere stata da lui liberata dalle grinfie di Malagant (o Maleagant) che l’aveva rapita. Lancillotto, oltre ad essere il cavaliere più fidato di Re Artù, era stato allevato dalla Dama del Lago chiamata Viviana, per questo era conosciuto come “Lancelot of the Lake” in inglese e “Lancelot du Lac” in francese (“Lancillotto del Lago”). In seguito, il tradimento venne riferito ad Artù dal figlio Mordred assieme al fratellastro Agravain.

Una scena del film “Lancelot du Lac” (tradotto “Lancillotto e Ginevra”) di Robert Bresson del 1974.

Condannata al rogo, Ginevra venne liberata da Lancillotto (che nel frattempo era fuggito) attraverso una cruenta battaglia che determinò l’uccisione di diversi cavalieri della Tavola Rotonda. La fuga di Lancillotto e Ginevra insieme, per non fare mai più ritorno, segna simbolicamente la fine del sogno di dominio e di giustizia di Re Artù. Questi sarà poi ucciso da Mordred in un aspro combattimento in cui entrambi periranno. L’ultimo cavaliere sopravvissuto, Bedivere, getterà la spada Excalibur nelle acque del lago (secondo una versione del mito, le stesse da cui proveniva) per non essere più trovata e utilizzata da alcuno per arrecare danno.

Secondo la leggenda, Artù venne sepolto da Viviana e Morgana sull’isola di Avalon. Avalon (che in bretone significa “isola delle mele”) è un’isola fantastica (come l’irlandese Tir Nan Og) che si diceva risiedere nell’arcipelago occidentale della Gran Bretagna. Da molti, però, viene affermato che questa terra esista veramente, e viene identificata non con un’isola ma con la città inglese di Glastonbury, nel Somerset.

“Sir Bedivere getta Excalibur nel lago”, illustrazione di Walter Crane del 1862.

Sempre secondo la leggenda, Galahad il Casto era il figlio nato da Lancillotto e Ginevra, destinato a trovare il Graal per riscattare il peccato commesso dai suoi genitori. Secondo un’altra versione, però, Galahad era figlio di Lancillotto e di sua moglie Elaine, abbandonata dal cavaliere dopo essere partito al seguito di Artù.

Quale che sia la storia, in letteratura la ricerca del Graal e il suo ritrovamento rappresentano metaforicamente non solo l’atto di conversione dell’intero popolo dei bretoni al cristianesimo, ma una ricerca personale dell’illuminazione da parte del singolo individuo.

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