I CELTI E I GALLI

Storia dell’antico popolo dei Galli, i guerrieri che all’epoca dell’Impero romano risiedevano nell’odierna Francia.

Molti secoli prima della nascita di Cristo, l’odierna Francia era abitata da svariate tribù appartenenti al popolo celtico.

I Celti erano un’antica popolazione caucasica di guerrieri e di contadini stanziata in diverse zone d’Europa, le stesse dove ancora oggi si possono trovare loro discendenti: Irlanda, Galles, Scozia, Italia, Ungheria, Spagna e Francia. Le prime notizie storiche su di loro risalgono al VI secolo a.C., ma è probabile che fossero presenti anche in epoche più remote.

In Francia, i Celti venivano chiamati dai Romani “Galli” (in francese: Gaulois), perciò la loro terra prendeva il nome di “Gallia” (in francese: Gaule). L’origine di questa parola è ancora incerta, anche se è possibile che derivi dal greco (vai alla pagina che spiega PERCHE’ SI CHIAMAVANO CELTI).

“Donna celtica”. Particolare tratto dal dipinto “La Banshee” di Henry Meynell Rheam (1897- 1901). Immagine di pubblico dominio.

I Celti parlavano lingue diverse, derivanti però da una matrice comune: il proto-celtico. Da esso è derivato sia il gallico che il gaelico. Diverse forme di gaelico vengono tuttora parlate presso molti popoli di origine celtica, tra cui soprattutto gli scozzesi e gli irlandesi. In Irlanda il gaelico irlandese, ad esempio, costituisce la vera lingua ufficiale dell’isola, seconda solo all’inglese che rimane tuttavia la lingua degli atti pubblici e d’ufficio. Il gaelico irlandese (o semplicemente irlandese), secondo gli storici è la lingua che più si avvicina a quella anticamente parlata dai Celti. Questi ultimi non avevano una lingua scritta, ma tramandavano la loro conoscenza solo oralmente. La ragione potrebbe essere un loro rifiuto di condividere la propria cultura con gli altri popoli, dal momento che tutti i Celti erano dotati di una forte individualità. Secondo i Romani, invece, era un segno della loro arretratezza, visto che nessuno di loro aveva imparato a leggere e scrivere prima di entrare in contatto con Roma. Questo ha fatto sì che la maggior parte delle informazioni disponibili sul popolo celtico siano scarse, e che molte domande sui loro usi e costumi restino ancora prive di una risposta. A ciò si aggiunge il fatto che le uniche informazioni scritte di cui gli storici dispongono provengono dai loro nemici, ossia i Greci e i Romani, cosa che potrebbe aver inquinato l’immagine che oggi si ha di questo popolo.

I Celti, infatti, nell’immaginario collettivo vengono rappresentati sempre come arretrati e feroci, dei veri e propri “barbari“. Questo perché Greci e antichi Romani avevano modo di entrarvi in contatto solo durante le battaglie, che per i guerrieri celti erano occasione di saccheggio e razzie. Il popolo celtico, infatti, non conosceva il concetto di “guerra di conquista”: non era interessato a conquistare terre e città, ma solo ad accumulare tesori. Anzi, essi stessi non costruirono mai delle proprie città, ma si limitarono sempre a vivere in piccoli villaggi rurali. 

Sapevano inoltre essere degli abili guerrieri, dotati di estrema ferocia in battaglia. Erano soliti spaventare i nemici, prima ancora che venisse dato il segnale di combattimento, attraverso grida, squilli di tromba e pitture sulla faccia e su tutto il corpo. Questi comportamenti servivano sia a incutere terrore che a scopo religioso: molti di loro combattevano infatti completamente nudi e col corpo dipinto, in segno di offerta di se stessi alla divinità in caso di morte in battaglia.

Generalmente, però, portavano indosso delle armature, e possedevano resistenti spade, corazze e scudi che sapevano forgiare abilmente. Si spostavano con velocissime bighe e furono inoltre gli inventori della cotta di maglia (la camicia di ferro utilizzata anche dai soldati del Medioevo), che presso i Romani era inizialmente sconosciuta.

“Il re celtico Brenno, della tribù dei Galli Senoni”. Particolare tratto dal dipinto “Le Brenn et sa part de butin (“Brenno e la sua parte di bottino”), di Paul Joseph Jamin, 1893. Immagine di pubblico dominio.

Spesso, durante le loro scorribande, i guerrieri celti erano sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, il che ne aumentava la ferocia. Erano inoltre soliti sbeffeggiare i propri nemici e provocarli poco prima dello scontro, onde aumentarne la collera e garantirsi un combattimento più arduo, dove potevano mettere in mostra le proprie capacità militari. Anche fra di loro erano soliti sbeffeggiarsi in caso di scarsa abilità in battaglia, ma avevano al contrario un profondissimo rispetto dei guerrieri più valorosi, a cui spettava il cibo migliore e un posto d’onore durante le adunanze.

Questo loro rispetto si manifestava anche verso i guerrieri nemici quando ne riconoscevano la grandezza. Nonostante la loro ferocia e spavalderia, infatti, a volte risultavano molto spaventati dalla superiorità di un avversario. Un’usanza celtica molto diffusa era perciò quella di decapitare i guerrieri più coraggiosi uccisi e di conservarne la testa imbalsamata come un trofeo, sia come prova del proprio valore, sia, soprattutto, per paura che lo spirito dei guerrieri caduti potesse tornare dall’aldilà per vendicarsi: conservarne la testa era dunque considerato un modo per allontanare questa eventualità.

I Celti erano infatti un popolo molto superstizioso, poiché credevano nella presenza delle divinità ovunque attorno a loro. Erano di religione politeista, ma non credevano in dèi antropomorfi, e anzi, spesso erano soliti deridere i Greci e i Romani che al contrario rappresentavano i loro dèi sotto forma di uomini. Per i Celti, invece, le divinità erano spiriti presenti all’interno di tutto ciò che esiste in natura: alberi, fiumi, laghi, montagne, ecc. Questi dèi non sempre erano benevoli, e anzi potevano diventare molto vendicativi se provocati, cosa all’origine di un atteggiamento, appunto, molto superstizioso da parte degli uomini, assoggettati al loro volere.

Sempre per tale ragione, una figura di spicco della società celtica era quella del druido, un grande sacerdote conoscitore del volere divino, il cui scopo era quello di mettere i guerrieri in contatto col soprannaturale per propiziare le battaglie. Secondo i Celti, infatti, per combattere vi erano giorni più favorevoli e meno favorevoli, i quali venivano stabiliti attraverso la divinazione dei druidi. Queste figure avevano inoltre anche la funzione di giudici e di medici, ed erano i soli che potevano accendere e spegnere il Fuoco Sacro che bruciava sulle alture come tributo agli dèi.

Immagine di un druido tratta da un’illustrazione dell’opera “Il costume degli abitanti originali delle isole britanniche” (The Costume of the Original Inhabitants of the British Islands) di S.R. Meyrick and C.H. Smith (1815). Illustrazione di pubblico dominio.

Il druido era dunque dedito a tutti i rituali magici e propiziatori. Infatti, un’altra sua funzione era quella di compiere sacrifici umani o di animali che venivano fatti per ringraziare gli spiriti o suscitarne la benevolenza. Poiché i Celti erano convinti dell’esistenza di un’aldilà, non avevano paura della morte, neppure in battaglia, quindi non era raro che molti di loro si offrissero spontaneamente al sacrificio per il proprio popolo. La maggior parte delle vittime sacrificali erano soprattutto i membri dell’aristocrazia, poiché più elevato era il rango della vittima, più gradito era il sacrificio fatto.

Dal momento che la tradizione celtica veniva tramandata oralmente, ci volevano lunghi anni perché un apprendista potesse diventare un sacerdote a tutti gli effetti. Tutte le forme di conoscenza acquisite si basavano sulle proprie capacità mnemoniche, e venivano apprese tramite l’insegnamento orale dei druidi più anziani.

Dopo il druido, altre importanti figure della società celtica erano costituite dal re della tribù e dall’aristocrazia guerriera. Infine, vi erano i contadini, che da soli producevano quasi tutta la ricchezza della popolazione, dal momento che la società celtica era quasi esclusivamente rurale. I Celti, infatti, vivevano solamente di saccheggi e di prodotti della terra. Dalla terra ottenevano anche le materie prime che servivano a costruire le proprie case, che erano di forma circolare poiché si sviluppano attorno ad un focolare centrale, per poi venire ricoperte da un grande tetto di paglia. Molto spaziose (potevano raggiungere anche 15 metri di diametro), le abitazioni erano fatte di legno, fango e paglia, attraverso una tecnica molto complessa. Nonostante venissero criticati dai Romani per il loro scarso uso della pietra, possedevano delle conoscenze architettoniche persino più avanzate di quelle di Roma.

La pietra veniva utilizzata solo per la costruzione di statuette e monumenti votivi (dolmen e menhir), che venivano eretti sulle alture, in punti visibili anche da molto lontano. Il significato di questi monumenti religiosi è ancora sconosciuto, ma è stato ipotizzato dagli archeologi che potessero fungere da rudimentali altari.

Degna di menzione è inoltre la grande capacità scultorea di questo popolo: oggi la scultura celtica, assieme ai gioielli e ai manufatti artigianali che erano soliti fabbricare, è considerata una delle più raffinate d’Europa, nonché precorritrice del moderno Astrattismo.

Nonostante col termine “Celti” si intenda un popolo molto eterogeneo, stanziato in parti diverse dell’Europa, ciò che accomunava ciascuna tribù era la cultura, identica per ciascuna di esse. Ognuna di loro condivideva inoltre la lingua, la religione, l’arte e lo spirito individualista.

Uno dei documenti più importanti che descrive gli usi e costumi dei Celti di Gallia è il De Bello Gallico, una raccolta di libri scritta da Giulio Cesare per narrare della guerra che si combatté dal 58 al 50 a.C. tra i Galli e i Romani. Tuttavia, essendo stata scritta da un Romano, quest’opera potrebbe non dare un giudizio obiettivo sul popolo celtico, e tendere a dipingerlo più arretrato di quello che era in realtà. Un particolare strano, ad esempio, è il fatto che Cesare affermi che le varie tribù galliche differivano tra loro per lingua e leggi, caratteristica insolita per il popolo celtico.

“Vercingetorige e Cesare”, locandina del film “Vercingétorix” di Cândido de Faria per Pathé, 1909. Collection EYE Film Institute Netherlands. Immagine di pubblico dominio tratta da Wikipedia in italiano, voce “Vercingetorige”.

La Gallia divenne una provincia romana nel II secolo a.C. Prima di allora, erano già state conquistate dai Romani le terre dell’Italia del Nord, chiamate “Gallia togata” o “Gallia cisalpina”, e abitate anch’esse dai Celti. Nel II secolo a.C. fu la volta della Francia, chiamata all’epoca “Gallia transalpina” o “Gallia comata”, in riferimento all’abitudine dei Galli di portare i capelli lunghi.

I Celti – e di conseguenza i Galli – erano infatti soliti non tagliare mai i capelli, che erano di colore rosso, biondo-rosso o corvino. Le donne portavano spesso e volentieri i capelli lunghi fino alle ginocchia, mentre gli uomini li portavano lunghi fino alle spalle. Un’abitudine degli uomini celtici era inoltre quella di portare sempre dei baffi ben curati, come appaiono anche nelle rappresentazioni – a volte ironiche – fatte su di loro. Non portavano però né trecce né copricapi con le corna, come invece vengono a volte erroneamente raffigurati (vedi sopra, illustrazione del re Brenno).

Erano divisi in tribù, ognuna con un proprio capo o re, e spesso erano in guerra fra loro. Non essendo compatte, quindi, le tribù non permisero mai la creazione di un vero e proprio “popolo celtico” o “popolo gallico”, anche se la loro cultura era in tutto e per tutto simile. Tra le tante divinità venerate in Gallia, una comune alle varie tribù era infatti Toutatis, a cui è dedicata una pagina del blog (clicca sul link).

I Romani erano entrati in contatto coi Galli già nel IV secolo a.C.: nel 390 a.C., infatti, i Galli Senoni, guidati dal re Brenno, erano partiti dalla Gallia Togata (più precisamente dalla capitale “Senigallia”, odierna città delle Marche) e si erano spinti fino a Roma saccheggiandola.

“Brenno e Marco Furio Camillo dopo il sacco di Roma”. Immagine di Paul Lehugeur tratta dall’opera francese “Storia di Francia in cento riquadri” (“Histoire de France en cent tableaux”) del 1886.

Il termine “Gallia” cessò di esistere con l’arrivo in Occidente, nel V secolo d.C., dei Franchi Salii, una popolazione di origine germanica da cui deriva l’odierno nome “Francia”. I Franchi si stanziarono in Gallia, si mescolarono alla popolazione indigena e ne assorbirono gli usi e costumi, ma, al contrario dei Celti, stabilirono un rapporto di pace coi Romani.

(Vai anche alla pagina su VERCINGETORIGE E LA GUERRA GALLICA per avere maggiori informazioni sui Galli).

Consulta anche l’appendice dedicata all’origine del termine “Francia” che sostituì quello di “Gallia” (clicca sul link).

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