GILLES DE RAIS, IL VERO BARBABLU’

Gilles de Montmorency-Laval, barone di Rais, è stato un nobile e condottiero francese, maresciallo di Francia, che prese parte alla Guerra dei Cent’Anni nella fazione degli Armagnacchi (vai alla pagina sulla GUERRA DEI CENTO ANNI per sapere di cosa si tratta).

Gilles de Rais.

Nato in Francia a Champtocé-sur-Loire (oggi nella regione dei Paesi della Loira) nel 1405 (secondo altri, nel 1404), fu capitano dell’esercito francese ed erede di una dinastia molto influente oggi estinta, che aveva possedimenti nel Maine, in Bretagna e Angiò.

Combatté anche al fianco di Giovanna d’Arco nelle importanti battaglie di Orléans, Jargeau, Meung-sur-Loire e Beaugency, e fu inoltre suo grande ammiratore: quando la “pulzella” finì nelle mani della fazione nemica, i Borgognoni, nel 1430, si impegnò con tutte le forze per liberarla ed evitarne la morte, anche se invano.

Nonostante tali nobili sentimenti e le gloriose imprese compiute sul campo, Gilles de Rais è oggi conosciuto soprattutto per un motivo assai meno nobile, cioè aver ispirato la terribile fiaba di Barbablù (La barbe bleue) scritta da Charles Perrault nel 1697.

Barbablù nel famoso disegno di Gustave Doré.

Come il personaggio di Barbablù uccideva le sue mogli e nascondeva i loro cadaveri in una stanza proibita, Gilles de Rais venne accusato ai suoi tempi di uccidere e occultare i cadaveri delle proprie vittime in una stanza del suo castello. Ma queste non erano donne, bensì bambini, di cui si diceva abusasse senza alcuna pietà prima di porre fine alla loro esistenza.

Gilles de Rais venne considerato all’epoca un mostro ed un eretico, e venne giustiziato per i suoi delitti nel 1440, vicino a Nantes.

I sospetti su di lui iniziarono nel 1432 (un anno dopo la morte di Giovanna D’Arco) da parte del vescovo di Nantes con cui il barone aveva delle forti controversie. L’inchiesta vera e propria partì solo nel 1440, quando Gilles de Rais tenne prigioniero un ecclesiastico, Jean Le Ferron, per appropriarsi del castello di Saint-Étienne de Mermorte. Un gesto che gli fu fatale.

In base alla raccolta di diverse testimonianze, Gilles de Rais non venne accusato solo di omicidio, ma anche di pratiche magiche e di stregoneria, in particolare di alchimia, che all’epoca era severamente proibita (vai alla pagina su NICOLAS FLAMEL per saperne di più su questo argomento). Si dice che cercasse, attraverso tali pratiche, di creare la pietra filosofale, ovvero una pietra in grado di trasformare qualsiasi materiale in oro, per riuscire a pagare i suoi numerosi debiti. Era infatti dedito a spese folli: feste e banchetti sontuosi non mancavano mai, e questo lo fece presto cadere in disgrazia.

Uno dei suoi accusatori fu l’aretino Francesco Prelati, ex-prete, il quale, assieme ad altri, e molto probabilmente sotto tortura, raccontò che il barone amava ospitare stregoni, maghi e qualsiasi persona che si intendesse di occulto nel suo castello di Tiffauges, e che questi gli venissero procacciati dal cappellano di Nantes, Eustache Blanchet. Non solo, ma lo stesso Prelati raccontò di avergli insegnato a invocare un demonio, chiamato “le Barron”, per soddisfare tutte le sue esigenze economiche attraverso un sacrificio umano.

I bambini uccisi vennero ritenuti utilizzati per tali sacrifici. In base alle denunce di scomparsa che ci furono a Nantes dal 1432 al 1440, si contarono circa 140 omicidi presunti.

Per secoli, Gilles de Rais è stato ritenuto veramente colpevole dei delitti che gli furono attribuiti. Nel 1921, però, e cioè un anno dopo la canonizzazione di Giovanna D’Arco, venne pubblicato il libro “Il processo inquisitorio di Gilles de Rais, maresciallo di Francia, con un saggio di riabilitazione” (Le procès inquisitorial de Gilles de Rais, Maréchal de France, avec un essai de réhabilitation) scritto da Fernard Fleuret e Ludovico Hernandez (pseudonimo di Louis Perceau). Nel libro si ritiene che, almeno in parte, le accuse vennero mosse per motivi politici, e cioè per screditare uno degli ammiratori della pulzella.

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